Questa è una delle domande che più spesso mi viene fatta da amici e parenti, e soprattutto da chi è interessato a iniziare una psicoterapia ma non riesce a decidersi fino in fondo (e non sono pochi!).
Un’altra frase che molto sento spesso dire da chi viene per la prima volta, è questa: «Fino ad ora non sono venuto perché non sapevo cosa avrei dovuto dire o fare».
In realtà, non c’è nessuna regola su cosa bisogna dire o fare.
Il fatto è, però, che ci si può sentire a disagio, appena si entra nello studio dello psicoterapeuta e ci si siede per la prima volta davanti a lui.
Ma è un disagio breve, perché quel professionista è lì proprio per aiutarci a parlare. Piano piano, aiutati dallo psicoterapeuta, si comincia ad esporre il motivo per cui si è arrivati in quello studio, e ad esprimere quello che bisogna tirare fuori.
Nel corso dell’incontro, l’analista/psicoterapeuta (una differenza che non è così enorme come si può credere) ascolta molto attentamente cosa ha condotto la persona a questo primo incontro.
Qualcuno all’inizio potrà appunto sentirsi intimidito, forse spaventato, forse a disagio (in fondo, lo psicoterapeuta è uno sconosciuto a cui si raccontano i fatti propri, magari anche cose che non si è mai avuto il coraggio di dire ad altri).
Altri, forse i più, percepiscono invece -e qualcuno per la prima volta- un vero e proprio senso di liberazione.
Lo psicoterapeuta (molti lo chiamano “psicologo”, anche se per fare una terapia deve essere uno psicoterapeuta) è molto attento a quello che chi ha di fronte gli dice, ma in realtà cerca di sentire e capire quali emozioni vi sono dietro quei discorsi: ansia, angoscia, timidezza, paura, dolore, solitudine, o altro: sono infinite le sfumature nascoste dietro tutti questi racconti…
E il professionista esperto, con decenni e decenni di ascolto intenso alle spalle, sa benissimo che dietro quei racconti, quelle frasi, quei silenzi che sembrano incomprensibili, ci sono vite intere, anni e anni di dubbi, sofferenze, paure, solitudini, e qualche volta anche violenze. E sa che basta una frase sbagliata a deviare quel rivolo di verità che quella persona gli sta dando.
A volte, il professionista cerca anche di farsi una prima, minima, idea di come chi ha di fronte possa essere arrivato ad una situazione del genere: sa però molto bene che dovrà considerare infiniti altri aspetti del problema e magari cambiare del tutto quell’idea.
In realtà, c’è qualcosa che non va mai dimenticato: la psicoterapia è un percorso che si fa in due. Ed è un percorso le cui regole, e i cui risultati, si costruiscono insieme.
Diciamo che il ruolo del terapeuta è -mi si perdoni quello che sembra uno scioglilingua- quello di aiutare colui che ha di fronte ad aiutarlo a farsi aiutare.
Non è un cortocircuito mentale o linguistico, questo, ma una frase (certo, un po’ arzigogolata!) che cerca di rendere come paziente e psicoterapeuta debbano collaborare tra loro a raggiungere il risultato voluto.
Da questo punto di vista, l’esperienza del terapeuta gioca però un ruolo molto importante, se non determinante, perché il terapeuta che lavora da decenni trova molto più facilmente di altri le “chiavi” che aiutano il proprio paziente ad esprimersi e ad aiutarlo, e dunque, col tempo, a trovare all’interno di sé i propri “linguaggi” e le proprie soluzioni.
La prima visita dura circa un’ora: personalmente però, quando so di dover incontrare per la prima volta un paziente, programmo un incontro che può durare sino ad un’ora e mezza.
Questo perché chi va da uno psicoterapeuta deve avere quanto tempo vuole per esporre -come vuole e come gli riesce- il problema, o la situazione, che lo ha spinto a telefonare: con calma, senza assilli, e senza che qualcuno gli metta fretta, deve un po’ “liberarsi”, e un po’ fare il punto della situazione, su ciò che lo turba.
Personalmente, se chi ho di fronte non riesce a parlare, lo incoraggio, senza troppe insistenze o pressioni: ma chi vuole, può anche star zitto a lungo, e non faccio pressioni di alcun tipo. Si comunica in tanti modi, e il silenzio è uno dei tanti modi di esporre quello che si ha dentro.
Dopo un’ora, un’ora e mezza, l’incontro termina, a volte con qualche mia riflessione e un nuovo appuntamento per scambiarsi ancora qualche riflessione prima di decidere se iniziare o no una terapia.
È bene infatti che il paziente senta di aver detto tutto quello che c’è da dire riguardo i propri problemi, prima di prender la decisione di entrare in psicoterapia o rinunciarvi.
Al termine del colloquio, lo psicoterapeuta fornisce -io lo faccio timidamente, sapendo che potrò o dovrò ricredermi molte volte- un parere e alcune indicazioni, tra cui quelle relative ad un percorso terapeutico.
In questo caso, viene chiarito come si svolgerà la psicoterapia, ad esempio la cadenza degli incontri (in genere settimanale, in qualche caso bisettimanale), l’onorario e le modalità di pagamento, la durata approssimativa del percorso (che di norma dipende sempre dalle potenzialità del paziente).
A volte, però, si rimanda la decisione di iniziare una psicoterapia ad un colloquio successivo, perché è bene che il paziente senta di aver esposto tutto quello che doveva esporre, e possa dunque prendere una decisione ponderata: a volte, infatti, è bene incontrarsi ancora e affrontare alcuni aspetti del problema non del tutto bene espressi: al termine del secondo colloquio (rarissimamente dopo un terzo), comunque, si arriva a decidere se iniziare la terapia, e quali ne saranno i punti cardine.
Se hai bisogno:
-di consultarmi per saperne di più;
-se soffri di ansia, panico, difficoltà nei rapporti affettivi,
-se hai un figlio che ti crea dei problemi,
-se nella tua coppia c’è un conflitto coniugale in corso,
-se pensi di essere affetto da bulimia o anoressia,
-se ti senti depresso
puoi chiamarmi e provare a parlarne con me.
Sono più di trenta anni che lo faccio, con competenza e passione.
Potrei essere d’aiuto anche a te.