Per districarci nel complesso mondo della sindrome di alienazione parentale è imprescindibile la necessità di partire da un’analisi della conflittualità genitoriale, dalle aggrovigliate motivazioni che la sottendono, come base su cui si strutturano quegli aspetti patologici di cui la PAS è l’esempio più eclatante.
Nella letteratura è ormai condiviso che la separazione ed il divorzio non possono essere considerati eventi “puntiformi” ma “processi” che comportano un’evoluzione delle relazioni familiari sul piano coniugale, su quello genitoriale e su quello riguardante l’ambiente esterno, la famiglia d’origine e gli amici.
Il principale compito che la famiglia separata si trova infatti ad affrontare è la riorganizzazione delle relazioni familiari a livello coniugale e genitoriale. Per poter gestire il conflitto emergente dalla separazione in maniera cooperativa, a livello coniugale la coppia deve elaborare il fallimento del proprio legame, il divorzio psichico. Contemporaneamente a livello genitoriale è necessario che gli ex coniugi continuino a svolgere i ruoli di padre e madre e a riconoscersi come tali ed instaurare un rapporto di collaborazione e cooperazione per tutti gli aspetti che riguardano l’esercizio della genitorialità. Molto spesso però questo non accade e la battaglia esce e si protrae fuori dalle porte del Tribunale innescando nel bambino una suddivisione dei propri genitori in un “genitore buono” e in un “genitore cattivo” (Patrocchi, 2005).
La conflittualità che molto spesso accompagna le separazioni coniugali rende ciechi i genitori dei bisogni effettivi ed affettivi dei propri figli: la separazione dei genitori significa per il bambino avere un padre ed una madre che non si amano più innescando in lui conflitti e domande sul se sia giusto continuare ad amare entrambi dal momento che loro non si amano più. Molte volte i genitori, consciamente o inconsciamente, quando si contendono l’affidamento del bambino lo “chiamano” ad effettuare una scelta tra di loro. Dell’Antonio (1984) riporta che questa scelta aumenta il disagio del bambino stesso, in un contesto in cui da una parte, vi sono i genitori che si trovano in un momento di crisi in cui prevalgono sensi di inadeguatezza e bisogni di trovare all’esterno di sé conferme della loro validità come persone, cercando quindi questa conferma nel ruolo genitoriale; il figlio da parte sua si trova in una situazione concreta di perdita di riferimenti e di rapporti che non ha voluto e che spesso nemmeno si aspettava e quindi in una situazione di lutto. Quando i genitori non riescono a superare la crisi personale innescata dalla separazione e quindi trovare dentro di sé motivi di autostima, sospinti anche da motivazioni di conflittualità latente, hanno bisogno di definire il coniuge negativamente e quindi anche di definirlo “inidoneo” nel ruolo genitoriale. Da qui la sempre più frequente denigrazione dell’altro genitore agli occhi del figlio e la richiesta, formulata in modo più o meno esplicito, che anche il figlio contribuisca a tale definizione scegliendo lui come unico genitore.
Il perdurare del conflitto per molto tempo dopo la separazione costituisce la principale fonte di stress non solo per la coppia ma anche e soprattutto per i figli che continuano ad essere coinvolti in dinamiche relazionali e genitoriali disfunzionali.
Il processo di separazione si configura diversamente in relazione al ciclo di vita in cui avviene, comportando, quindi, percorsi riorganizzativi articolati in rapporto a variabili diverse, quali: storia intergenerazionale dei protagonisti, età dei figli che ne risultano coinvolti, risorse e potenzialità di cui dispone ogni singolo componente e la famiglia nel suo insieme e agli specifici quadri relazionali, che costituiscono lo scenario su cui vengono a organizzarsi le problematiche familiari in quel preciso momento del ciclo vitale sia individuale che familiare.
Nelle situazioni conflittuali quando il figlio o i figli sono al centro delle dinamiche relazionali disfunzionali, quali la coalizione e la triangolazione, tra i genitori con le rispettive famiglie di origine si parla di “chiasma familiare” (Togliatti & Lavadera, 2002). Il minore della famiglia separata a relazione chiasmatica occupa un ruolo particolare in quanto rappresenta da un lato il simbolo dell’unione indissolubile tra le due famiglie e dall’altro l’elemento scatenante del conflitto (anche se a volte con la funzione di coprire ciò che sottende la conflittualità vera e propria).
Una delle evoluzioni più frequenti delle famiglie separate è la creazione di una famiglia monogenitoriale composta in genere da madre e figlio/i, in quanto la madre solitamente è il genitore affidatario. In un numero non infrequente di casi, il genitore non affidatario (il padre, nel 90% circa dei casi), sparisce quasi completamente….
Perché?
Alla base abbiamo vari percorsi: in una ridotta (nella nostra esperienza) percentuale di casi, casi il padre – instaurando una nuova relazione – si allontana dai figli nell’ipotesi di “rifarsi una vita” con la nuova compagna; in molti altri casi si apre il sipario della sindrome di alienazione genitoriale (Gulotta, 1998), per cui il genitore affidatario mette in atto progressivamente una serie di comportamenti volti a svalutare e denigrare l’altro genitore. In questi casi, se il minore oppone una strenua resistenza agli incontri con il padre (o con il genitore alienato), vi è di fatto una (per noi) colpevole collusione del sistema giudiziario, che non è in grado di approntare alcun percorso di recupero della relazione genitoriale distrutta dal conflitto, né, a dar retta alle cifre della nostra statistica, a intervenire penalmente per sanzionare i comportamenti lesivi dei diritti del genitore potenzialmente alienato.
In molti altri casi, infatti, gli ostacoli posti dal genitore affidatario agli incontri tra l’altro genitore ed i figli sono talmente insormontabili, o di difficile gestione, che si verifica una perdita di contatti significativi, che può diventare totale o, come più spesso avviene, che porta a modalità di incontro traumatiche e traumatizzanti, frutto di stress per i minori e l’adulto coinvolto: nei pochi incontri che hanno con i figli non riescono a costruire uno spazio di dialogo adeguato: padre e figli non riescono a rendere costruttiva la relazione affettiva, rendendo questi incontri artificiali. In tutti questi casi, si è di fatto in presenza di quello che abbiamo definito “mobbing genitoriale” (Giordano, 2004; Giordano, 2004)
La famiglia conflittuale rappresenta un altro assetto della famiglia separata in cui gli ex coniugi non hanno raggiunto il divorzio psichico e continuano a rapportarsi in modo conflittuale in quanto, anche se entrambi continuano a occuparsi dei figli, tendendo ad instaurare genitorialità parallele. Generalmente, dunque, e come in parte accennato, la madre affidataria agisce il conflitto limitando – in parte o in tutto, con aggressioni sul piano familiare, e/o sociale e/o legale – vedi il P.M.I. – PARENTAL MOBBING INVENTORY (Giordano G. 2004 e Giordano G. 2005) il diritto di visita del padre, il quale – simmetricamente – agisce altre strategie conflittuali, tra i quali vi sono tutte le modalità descritte nel suddetto P.M.I, tra cui, forse un po’ più spesso di altre modalità, vediamo rappresentata la tendenza a non rispettare gli impegni economici (assegno di mantenimento, partecipazione alle spese scolastiche e mediche). Di conseguenza, molto spesso, i minori sono utilizzati come arma di ricatto della madre per avere soldi e viceversa il padre concede i soldi in funzione solo del rapporto quantitativo col figlio.
Nei casi di alienazione genitoriale non vi è alcuna possibilità di collaborazione in quanto gli ex coniugi si danneggiano l’un l’altro e soprattutto danneggiano il figlio attraverso un conflitto aspro che si manifesta con squalifiche e denigrazioni reciproche, battaglie giudiziarie interminabili. La rabbia è così intensa che nessuno dei due può accettare i diritti dell’altro neanche come genitore: l’ex coniuge è semplicemente un nemico da eliminare dalla propria vita e anche da quella dei figli.
Togliatti e Lavadera (2002) evidenziano che “dal punto di vista relazionale in questi casi i figli possono essere coinvolti in “triadi rigide”, ovvero in una dinamica relazionale in cui il confine tra il sottosistema genitoriale e il figlio diventa diffuso e quello intorno alla triade genitori – figlio diviene esageratamente rigido”.
In un sistema familiare è possibile distinguere tre principali tipi di triade rigida (Minuchin, 1974):
- La coalizione. È definita come l’unione tra due persone a danno di un terzo. Uno dei genitori si allea con un figlio in una coalizione rigidamente definita contro l’altro genitore. Nel caso delle famiglie separate possiamo osservare, frequentemente, una coalizione madre – figlio che esclude il padre. Sono i casi in cui i figli arrivano a rifiutare ogni forma di dialogo e anche di incontro con l’altro genitore.
- La triangolazione. È definita come una coalizione instabile in cui ciascun genitore desidera che il figlio parteggi per lui contro l’altro; quando il figlio si schiera con uno dei genitori, l’altro definisce la sua presa di posizione come un tradimento. Se c’è una triangolazione, il figlio rimane come paralizzato in quanto cerca di dare ragione e affetto sia all’uno che all’altro.
- La deviazione. Due persone in conflitto tra loro spostano il conflitto su un terzo. Nelle famiglie separate in cui il conflitto non è esplicitato per cui non è possibile negoziarlo e risolverlo, il figlio può arrivare ad agire comportamenti devianti o a presentare manifestazioni sintomatiche in quanto entrambi i genitori sono rigidi sul loro modello educativo.
Gardner definisce la PAS come “la sindrome da alienazione parentale è un disturbo che insorge essenzialmente nel contesto di controversie per l’affidamento dei figli. La sua principale manifestazione e’ la campagna di denigrazione da parte del bambino nei confronti di un genitore, una campagna che non ha giustificazione. Essa deriva dall’associarsi dell’indottrinamento da parte di uno dei genitore che programma (fa il lavaggio del cervello) e il contributo personale del figlio alla denigrazione del genitore che costituisce l’obiettivo di questa denigrazione. In presenza di abusi veri o di abbandono da parte del genitore, tale animosità può essere giustificata e in questo caso non e’ possibile utilizzare la PAS come spiegazione dell’animosità del bambino” (Giorgi, 2001). L’incremento dagli anni ’70 delle dispute sull’affidamento di minori sottende la sostituzione del “principio della tenera età” al “principio dell’interesse prevalente del bambino”; con tale inversione di rotta fu data istituzione ai Tribunali di ignorare il sesso nel prendere in considerazione l’affidamento, fino ad allora, infatti, vigeva il presupposto che le madri fossero, in virtù del fatto di essere donne, superiori agli uomini come educatrici dei figli, e di valutare solamente le capacità genitoriali. Di conseguenza sono dunque proliferate le cause per affido avendo i padri una maggiore opportunità di divenire affidatari. A seguito di questo proliferare di cause di affidamento Gardner (1998) ha osservato un aumento di un disturbo in soggetti in età evolutiva che precedentemente era raramente riscontrata; tale disturbo accoglierebbe in sé sia la programmazione del minore da parte di un genitore contro l’altro genitore ex coniuge ma anche i contributi attivi dello stesso bambino a sostegno del genitore alienante. Secondo Gardner (1998) quindi la PAS non può essere solo sinonimo di lavaggio del cervello (programmazione) in quanto l’elemento chiave appare il personale contributo del bambino alla vittimizzazione del genitore “bersaglio”.Colliva (2005) riporta la necessità che per definire la sintomatologia della PAS prima si debba definire che cosa non è la PAS: - “La PAS non è l’alienazione genitoriale prodotta da una “realtà reale” di mancanze, trascuratezze o violenze del genitore alienato”;
- “La PAS non è una patologia del genitore alienante, ma una patologia instillata nel bambino”;
- “La PAS non è sinonimo di accuse per violenze o abusi rivolte ad un genitore”.La PAS è caratterizzata da otto sintomi primari, espressi dai figli come prodotto di una da parte del genitore
affidatario (Gardner, 1992): - La campagna di denigrazione. In una situazione normale, ciascun genitore non permette al bambino di esibire mancanza di rispetto e diffamare l’altro. Nella PAS, invece, il genitore programmante non mette indiscussione la mancanza di rispetto, ma può addirittura favorirla.
- La razionalizazione debole. L’astio espresso dal bambino nei confronti del genitore non affidatario è razionalizzato con motivazioni illogiche, insensate o anche solamente superficiali; ad esempio: “non voglio vedere mio padre/madre perché mi manda a letto presto”.
- La mancanza di ambivalenza. Il genitore rifiutato è descritto dal bambino come “tutto negativo”, ed il genitore amato come “tutto positivo”.
- Il fenomeno del pensatore indipendente. La determinazione del bambino ad affermare di aver elaborato da solo i termini della campagna di denigrazione, senza influenza del genitore programmante.
- L’appoggio automatico al genitore alienante. La presa di posizione del bambino sempre e solo a favore del genitore affidatario, in qualsiasi conflitto venga a determinarsi.
- L’assenza di senso di colpa. Tutte le espressioni di disprezzo nei confronti del genitore escluso avvengono senza sentimenti di colpa nel bambino.
- Gli scenari presi a prestito. Sono affermazioni del bambino che non possono ragionevolmente venire da lui direttamente; ad esempio: uso di parole o situazioni che non sono normalmente conosciute da un bambino di quell’età, nel descrivere le colpe del genitore escluso.
- L’estensione dell’ostilità alla famiglia allargata ed agli amici del genitore alienato. Coinvolge nell’alienazione la famiglia, gli amici e le nuove relazioni affettive (una compagna o compagno) del genitore rifiutato.
Nella trattazione di Colliva (2005) ritroviamo che a questi otto fattori primari Gardner ne ha poi aggiunti altri quattro (additional differential diagnostic considerations): - difficoltà di transizione nei periodi di visita presso il genitore non affidatario;
- il comportamento del minore durante le ‘visitations’, durante il periodo di permanenza presso il genitore non affidatario;
- il legame del minore con il genitore alienante;
- il legame del minore con il genitore alienato, riferita al periodo precedente il processo di alienazione e, quindi, prima della fase di separazione giudiziale.
Gardner ha descritto tre differenti livelli di Sindrome di Alienazione Genitoriale (Giorgi, 2001): - grado lieve
- grado moderato
- grado grave“Gardner stesso afferma che tra i tre livelli esiste un continuum tanto che i confini tra gli stessi non appaiono rigidi. Inoltre l’Autore sottolinea che la diagnosi del grado di PAS si basa sul comportamento del bambino, e non sul grado di indottrinamento a cui il bambino stesso può essere stato sottoposto” (Gardner, 2001).
Nella sua trattazione Colliva (2005), prendendo spunto da Giorgi (2001), riporta una diversificazione molto specifica tra i vari gradi di gravità della PAS:
“Nel grado lieve, l’alienazione è relativamente superficiale ed il bambino sostanzialmente collabora per le visite al genitore alienato, ma è a tratti ipercritico e di cattivo umore, infatti i bambini hanno manifestazioni relativamente superficiali degli otto sintomi primari del disturbo, ma più spesso sono presenti solo alcuni degli otto sintomi. In questo grado di PAS può ancora esistere una relazione affettuosa con la parentela del genitore alienato.
In questi casi lievi i genitori alienanti attuano dei comportamenti “tipici” ed alcuni dei quali sono: - Una considerazione limitata per l’importanza attribuita dal minore al tempo trascorso con l’altro genitore: il genitore alienante potrebbe non incoraggiare le visite presso l’altro genitore, o disinteressarsi delle attività, delle esperienze e, soprattutto, dei sentimenti del minore durante le “visitations” con l’altro genitore: “Tu decidi, io non ti sforzo”;
- L’incapacità da parte del genitore alienante di tollerare la presenza dell’altro genitore anche in eventi importanti per il minore: “Non parteciperò alla tua partita di calcio se tua madre sarà lì”;
- Mancanza di considerazione per l’importanza attribuita dal minore alla figura dell’altro genitore e/o alla relazione con lo stesso.Nel grado moderato tutti gli otto sintomi primari saranno probabilmente presenti anche se non in maniera pervasiva. Il genitore bersaglio viene descritto come completamente negativo, mentre la figura dell’altro genitore sarà descritta come completamente positiva. Nel bambino l’assenza di senso di colpa è così ben radicata che il bambino stesso può apparire psicopatico nella sua insensibilità alla sofferenza provata dal padre. Inoltre nella PAS moderata anche lo scenario della parentela del genitore bersaglio è visto in maniera negativa così che anche nei loro confronti viene messa in atto la campagna di denigrazione ed avversione. Inoltre possono nascere dei problemi nel momento in cui il bambino viene trasferito nella casa del genitore alienato, infatti generalmente davanti al genitore alienante esprime la volontà di non andare dall’altro genitore, ma quando poi si trova con il genitore bersaglio e lontano dal genitore “buono”, si calma e generalmente accetta poi il coinvolgimento del genitore bersaglio.
In questi casi moderati i genitori alienanti attuano dei comportamenti “tipici” ed alcuni dei quali sono: - Verbalizzazioni di disapprovazione rispetto le visite del minore: “Tu puoi stare da tuo padre ma sai come io mi sento quando sei con lui” e “Come puoi andare da tuo padre quando sai che io non mi sento bene”;
- Aperto rifiuto di ascoltare qualsiasi resoconto riguardante l’altro genitore: “Non lo voglio sentire, non voglio sentire nulla che riguardi tuo padre”;
- Espressioni di piacere a seguito di cattive notizie relative all’ex-partner;
- Aperto rifiuto di concedere una vicinanza fisica con l’ex-partner;
- Aperto rifiuto di parlare, di comunicare con l’altro genitore, ad esempio al telefono;
- Distruzione o eliminazione di oggetti concernenti o di appartenenza dell’altro genitore.Nella PAS di grado grave i bambini condividono le fantasie paranoiche del genitore alienante nei confronti del genitore bersaglio. Inoltre tutte e otto le manifestazioni primarie della PAS sono presenti ad un livello più significativo rispetto al grado moderato. Infatti nell’incontrare il genitore bersaglio il bambino prova terrore: urla da far raggelare il sangue, è in balia del panico e le sue esplosioni di rabbia possono essere così violente da rendere impossibile l’incontro. Gardner ha rilevato che in questi casi gravi il mantenimento di questa relazione esclusiva con il genitore alienante può essere considerato un potentissimo e diretto fattore di rischio per la salute mentale del minore, in particolare per l’insorgenza di una psicopatologia permanente di stampo paranoideo”
La sindrome PAS si delinea quindi come una configurazione particolare di un sistema familiare altamente conflittuale. Nella maggior parte delle famiglie è la madre il genitore alienante, il programmatore, e il padre la vittima; secondo Lowenstein (1999) i genitori alienanti risultano essere per il 75% le madri e solo per il 25% i padri. La madre secondo l’autore rimane il centro della vita familiare anche in presenza di rilevanti cambiamenti sociali, culturali ed economici. In virtù di questo ruolo le madri tendono ad utilizzare qualsiasi arma per essere certe di mantenere questo potere sul sistema filiare (Giorgi, 2001). Tuttavia le madri che utilizzano le accuse di inefficacia sul piano educativo e comportamentale dell’altro genitore (padre) tenderebbero ad alienare se stesse dai reali bisogni del figlio o dei figli per mantenere una relazione esclusiva con il figlio stesso e realizzare quindi una posizione di potere e di controllo all’interno della relazione. Il bambino che viene inglobato in questa dinamica tende progressivamente ad assumere e supportare le posizioni della madre manifestando rifiuto nei confronti del padre.
L’autore tende ad individuare due tipologie di genitore alienato: - Genitori (soprattutto padri) che hanno avuto con il proprio figlio o figli un legame, un rapporto sano e forte prima del divorzio
- Genitori (soprattutto padri) che hanno avuto con il proprio figlio o figli un legame non soddisfacente, distaccato piuttosto ristretto e limitato prima del divorzioDarnall (1998) ha proposto una tipologia del genitore alienante descrivendo la presenza di tre tipi differenti di alienatori:
- Gli alienatori naif. Caratterizzati da un atteggiamento sostanzialmente passivo nella relazione con il minore.
- Gli alienatori attivi. Sono abili nel distinguere i propri bisogni da quelli del figlio minore ma tendono maggiormente ad avere problemi nell’elaborazione e nel contenimento dei sentimenti di odio, aggressività, amarezza o frustrazione dovuti all’evento divorzio
- Gli alienatori ossessivi (alienatori con causa). I genitori alienanti tendono a percepire se stessi come traditi e ad attribuire all’altro genitore il fallimento del matrimonio, la loro ragione di vita diventa la vendetta per tutti i “torti” subiti, di cui il divorzio rappresenta l’espressione massima. Solitamente accanto a questi problemi sussistono problematiche economiche e sociali.Sebbene gli effetti principali della sindrome vengano osservati nei minori, la PAS inizia e viene procrastinata dal genitore alienante che utilizza una serie di tecniche di programmazione dirette a demolire il genitore “bersaglio” con lo scopo di distruggere la relazione tra l’altro genitore ed il proprio figlio.
I parental programming stages seguono delle fasi ben definite (Buzzi, 1998):
- Cattura di attenzione e consenso. In questa fase appare fondamentale il livello cognitivo ed emotivo raggiunto dal minore affinché la programmazione riesca
- Verifica del processo di programmazione ponendo delle domande specifiche al minore
- Misurazione della lealtà raggiunta dal minore
- Generalizzazione della tecnica con l’estensione alle persone che risultano alleate all’altro genitore ex coniuge ed a oggetti e cose di proprietà di quest’ultimo
- Mantenimento del programma
Il processo di alienazione può comunque avvenire anche in assenza di un programma consapevole da parte del genitore che lo attua (Gulotta, 1998), tant’è che anche le strategie che vengono messe in atto per indottrinare ed istigare il figlio possono essere: - Dirette. Si realizzano quando il comportamento del minore tende a ricalcare le opinioni del genitore alienante attraverso minacce, promesse e premi
- Indirette. Incidono più sottilmente sull’opinione e sul comportamento dei minori in quanto si incentrano sulle emozioni del bambino, sul suo senso di lealtà.
Gulotta (1998), rifacendosi ad alcune ricerche, evidenzia come tali strategie siano messe in atto in maniera diversa se il genitore alienante è il padre o la madre. In particolar modo quando il padre è il genitore alienante (il che avviene in una ridotta percentuale di casi) sono adottate maggiormente strategie dirette, mentre le madri prediligono quelle indirette come la manipolazione psicologica e le false accuse di abuso sessuale.
Claward e Rivlin (1991) evidenziano almeno dieci tecniche di programming frequentemente utilizzate dai genitori alienanti: - Negare la presenza dell’altro. Il genitore bersaglio non è menzionato, le sue cose vengono distrutte o nascoste, non ci si riferisce mai ad esperienze positive fatte con l’altro genitore
- Il negare il proprio atteggiamento critico verso il genitore bersaglio. Il genitore alienante critica l’ex coniuge in presenza del minore, per poi rimandare all’altro assente la critica precedentemente mossa
- Informare il minore e discutere con lui temi tipicamente adulti come le ragioni del divorzio, l’ammontare degli alimenti e i relativi pagamenti…
- Manipolare la situazione dando false informazioni all’ex partner sul figlio inducendo sensi di colpa, dubbi e paure nel minore
- Marcare o creare differenze tra la relazione genitore – figlio e l’ex partner
- Cercare in qualsiasi modo di attirare le simpatie del minore come ad esempio soddisfare i desideri del figlio che l’altro limita o disapprova
- Porre il minore in veste di giudice dei comportamenti scorretti dell’altro o come “spia” degli stessi, sottolineando di essere l’unico capace di prendersi cura dei figli
- Esagerare il proprio ruolo di educatore mettendo in ombra quello dell’altro genitore
- Giudicare incessantemente in negativo il comportamento dell’altro raccontando aneddoti al fine di metterlo in ridicolo
- Riscrivere il passato o la realtà per creare dei dubbi nei figli sul rapporto con l’altroIn letteratura sono emerse altre tecniche messe in atto dal genitore alienante (Gulotta, 1998) come la “sgenitorializzaione” dell’ex coniuge chiamandolo per nome; manifestare comportamenti intrusivi durante le giornate che il minore trascorre con l’altro genitore ad esempio telefonando in continuazione; impedire all’ex coniuge di entrare in casa ma i aspettare il figlio in auto suonando il clacson per avvisare del suo arrivo; imporre al figlio il cognome del nuovo partner; metacomunicare sull’altro genitore in modo paradossale creando delle modalità a doppio legame che confondono il minore rendendolo anche più suggestionabile.
Ogni genitore può ricorrere all’uso di più tecniche nel programmare il proprio figlio, però non è scontato che il loro utilizzo porti inevitabilmente il bambino a schierarsi con il genitore alienante soprattutto se il figlio possiede un livello di autonomia cognitiva, affettiva e sociale adeguata , come non è da escludere che possa accettare a livello cosciente il ruolo indottogli, allearsi con uno dei genitore e condividerne le motivazioni.
Da tempo poi, nel Centro Studi Separazioni e Affido Minori di Roma è in uso la “Griglia degli Indicatori di Contesto Parentale Mobbizzante” (Dimitri – Giordano, 2006), che riportiamo qui sotto.
La “Griglia degli Indicatori di Contesto Parentale Mobbizzante” (Dimitri – Giordano, 2006), desunta dal Parental Mobbing Inventory (Giordano, 2004) è uno strumento empirico di valutazione della presenza di un contesto divorziale a transazione mobbizzante. La presenza di un contesto genitoriale divorziale a transazione mobbizzante implica una sicura evoluzione verso la presenza di una forma di PAS.
Indicativamente (dal momento che l’utilizzo della griglia avviene ancora con grande empirismo, è di fatto un work in progress, e quanto affermiamo circa le indicazioni che se ne possono trarre è puramente indicativo), un contesto familiare è considerato a transazione mobbizzante allorché il cinquanta per cento degli item raccoglie (in mano ad un operatore qualificato e non ad un consulente di parte!) un numero di “si” pari o superiore ad un terzo delle risposte.
Il processo che si snoda dall’attaccamento alla sindrome di alienazione genitoriale avviene lungo un continuum, che può scattare quando i bambini hanno 8/9 anni. I bambini più piccoli infatti non hanno ancora acquisito capacità cognitive sufficienti per essere buoni alleati e meno affidabili sebbene a livelli empatico possano dimostrarsi più vicini al genitore che si occupa di loro. La sindrome è infatti tipica dei figli adolescenti. Il passaggio dall’attaccamento ad entrambi i genitori alla sindrome di alienazione genitoriale vera e propria è abbastanza articolato e si snoda in quattro punti principali.
I quattro punti di passaggio presentano delle caratteristiche distintive (Buzzi, 1998): - Figli senza preferenze. Figli che hanno un uguale attaccamento per entrambi i genitori. Esprimono lo stesso piacere e uguale confidenza con ciascuno di loro e non esprimono preferenze sul genitore con cui vorrebbero trascorrere la maggior parte del tempo. In effetti questi bambini esprimono il desiderio di trascorrere la maggior parte possibile di tempo con entrambi i genitori.
- Figli con un’affinità elettiva per uno dei genitori. Si tratta dei figli che non esprimono una preferenza per un genitore rispetto all’altro, ma a causa della personalità o del temperamento del bambino o del genitore, di uno speciale bisogno del bambino, o di un cambiamento delle circostanze esterne possono essere indotti a provare maggiore affinità per un genitore in particolare. Questa affinità tuttavia può essere sia costante, attraverso i diversi momenti della crescita del bambino, oppure può spostarsi da un genitore all’altro nel tempo in relazione alle circostanze e ai cambiamenti nelle vite di figli e genitori.
- Figli allineati con uno dei due genitori. Sono figli che identificano e scelgono il loro genitore preferito o che discriminano in genitore “buono” e genitore “cattivo” come risultato della separazione quando tale categorizzazione non esisteva prima della separazione. Solitamente questa scelta viene fatta a favore del più debole, del più rabbioso o ferito, e risulta essere un bisogno cosciente del bambino quello di prendersi cura di quel genitore. Può anche essere un espressione della rabbia del figlio e dei suoi sentimenti feriti per il fatto di essere stato “abbandonato” da un genitore, sentimenti alimentati dal genitore con cui si sono alleati. Sotto la superficie, comunque, questi bambini provano affetto per entrambi i genitori e mentre possono avere delle resistenza a trascorrere del tempo col genitore “cattivo”, di solito accettano le sue visite e si divertono, nonostante lo esprimano raramente al genitore preferito. Nonostante possano mostrarsi di cattivo umore e essere chiusi o scontrosi col genitore che non vive più con loro, specialmente quando l’altro è presente, non esprimono sentimenti di rabbia ne si lamentano mai direttamente con questo genitore, ma esprimono la maggior parte delle lamentele con il genitore cui sono affidati e col quale si sono allineati.
- Figli alienati da un genitore. Si tratta dei figli che hanno scelto uno schieramento di parte durante il divorzio e che rigidamente si rifiutano di avere una qualsiasi relazione con l’altro genitore, che diventano quasi ossessionati dalla rabbia e dall’odio nei confronti di quel genitore. Essi sono stati e si sono alienati, e non sono affatto ambivalenti: lo rifiutano, e quasi sempre hanno subito un “lavaggio del cervello”. Sono assai rari i bambini appartenenti a questa categoria, che scelgono di non trascorrere mai un po’ di tempo con il genitore perché abusante o affetto da qualche patologia (in questi casi si tratta di una preferenza realisticamente non ambivalente ed è assente l’atteggiamento caricaturale e il tono ripetitivo delle lamentele, ma si dimostrano lucidi e sobri). La maggior parte dei figli alienati, comunque, ha avuto una normale relazione col genitore alienato prima della separazione, e in seguito ha completamente assorbito e fatto proprio il punto di vista del genitore “preferito” nei confronti del genitore alienato. Questi sono solitamente bambini che hanno un età compresa tra i 9 e i 15 anni al momento della separazione, e che si oppongono con forza e veemenza al genitore alienato senza apparenti espressioni di colpa o di ambivalenza. Essi elencano le proprie critiche e la propria avversione in presenza di entrambi i genitori con modalità ripetitive, sovente utilizzando le stesse parole utilizzate dal genitore preferito per descrivere le trasgressioni e i difetti del genitore alienato. Il loro linguaggio è quasi sempre pomposo e la scelta dei termini molto ricercata quasi da adulti.L’identificazione della sindrome di alienazione genitoriale è legata ad una serie di presupposti, anche se occorre premettere che sono le risposte stesse alla separazione a creare le condizioni circostanziali perché la sindrome possa svilupparsi e che, tra l’altro, le modalità educative assunte dai coniugi prima della separazione non sono predittive della relazione educativa successiva. Si sa che a volte la relazione tra genitore non affidatario e figlio si rafforza dopo la separazione, più sovente sembra indebolirsi e diventare più superficiale, oppure sembra restare identica, quindi è difficile fare previsioni. Tuttavia sappiamo che molto può dipendere dalle modalità di affido da un lato (Buzzi, 1998) e dall’altro dalle strategie difensive e le dinamiche collusive presenti nella famiglia durante il conflitto della coppia coniugale (Jhonston & Campbell, 1988).
Come già precedentemente detto la sindrome di alienazione genitoriale inizia e viene mantenuta dal genitore affidatario il quale dà atto ad una serie di tecniche di programmazione attingendo ad un sistema di credenze, quali i valori morali, religiosi, filosofici, personali, sociali diretti a “demolire” il genitore bersaglio per raggiungere uno scopo: distruggere la relazione tra l’altro genitore e il proprio/i figli (Gardner, 1989; Clawar & Rivlin, 1991).
Gli effetti della sindrome di alienazione sui figli dipendono: - Dalla severità del programma
- Dal tipo di tecniche di lavaggio del cervello utilizzate
- Dall’intensità con cui viene portato avanti il programma
- Dall’età del figlio e dalla sua fase di sviluppo, oltre che dalle lue risorse personali
- Dalla quantità di tempo che essi hanno trascorso coinvolti nel conflitto coniugale
L’impatto della sindrome comunque, non è mai benigno perché coinvolge manipolazione, rabbia, ostilità e malevolenza, a prescindere dal fatto che il genitore programmante ne sia più o meno consapevole. Ciò che si ottiene sui figli è sempre un grave lutto di una parte di sé. Alcuni figli continuano a sperare nella riunione dei genitori (come recupero della perduta infanzia), e in questi casi di alienazione si assommerà la vergogna per aver volutamente perso un genitore. Quando i ragazzi alienati ricostruiscono l’accaduto e lo disvelano a se stessi finiscono per escludere anche il genitore programmante, rischiando una seconda perdita. Il genitore bersaglio infatti, in principio rimane come disarmato di fronte alla volontà di allontanamento dimostratagli dai figli e nella sua posizione di debolezza, passa dalla rabbia, alla protesta, alla confusione e alla depressione. Progressivamente molti genitori bersaglio finiscono per desistere nei loro tentativi di vedere i figli e di trascorrere un po’ di tempo con loro per riuscire a mantenere, o addirittura a sviluppare, una relazione d’intimità, pesando in seguito nell’eventuale processo di riavvicinamento voluto dai figli ed aumentando le difficoltà di rapporto legate all’estraneità venutasi a creare. I ragazzi alienati che testimoniano contro il genitore bersaglio si ritroveranno a dover lottare in futuro con forti sensi di colpa, cui si affiancheranno le paure di abbandono e della perdita dell’amore del genitore programmante. Sovente i figli escono da questa ambivalenza con strategie autodistruttive, autocolpevolizzanti e autolesioniste. Sembra inoltre che figli alienati tendano a diventare genitori programmanti. Dal momento che durante la programmazione questi ragazzi possono sviluppare potenti sentimenti di ostilità e hanno carta bianca nel darne libero sfogo, si presentano come soggetti che si introducono volontariamente nei conflitti con modalità antagonistiche, possono essere irrispettosi, non collaboranti, ignoranti, ostili, maleducati, ricattatori e ricattabili, vanno male a scuola, fanno della manipolazione uno strumento relazionale. Non è raro che in questi casi aumenti anche l’ostilità manifesta tra fratelli. Questi ragazzi presentano quasi sempre disturbi dell’identità, sovente della sfera sessuale, e sono più vulnerabili alle perdile ed ai cambiamenti, regrediscono a livello morale e continuano a operare anche oltre l’adolescenza una netta dicotomia tra “bene” e “male”. Le regressioni possono essere presenti anche in altri ambiti di sviluppo in quanto il processo psicologico in atto è molto costoso, quindi possono presentare un’ampia confusione cognitiva, una dissonanza ingestibile tra realtà e programma, e la creazione di genitori immaginari a sostituzione del genitore perduto. Sono tuttavia solo i figli più dipendenti e quindi i meno autonomi a essere vulnerabili alla programmazione, così come quelli con bassa autostima, quelli che si sentono colpevoli per qualcosa che pensano di aver fatto, quelli che già avevano problemi emotivi o psicologici al momento della separazione. A complicare il tutto c’è l’effettivo abbandono da parte del genitore bersaglio dei tentativi di visita ai figli, il suo allontanamento crea una situazione di assenza di confronto con la realtà, se infatti viene a mancare il contatto con l’altro genitore è più facile cadere vittime della programmazione perché non può esserci esame diretto e confronto tra programma e realtà. Si presta ancora troppo poca attenzione alla qualità del rapporto dei figli col genitore non affidatario, soprattutto se questi si è allontanato a causa di una nuova relazione affettiva, il biasimo sociale per quanto comprensibile, è assai pericoloso per lo sviluppo dei figli in quanto innesca una alleanza sociale col genitore programmante. Al contrario di quanto comunemente si pensa, tuttavia, coloro che lasciano la famiglia non intendono separarsi dai figli ma solo dal proprio coniuge e andrebbero perciò aiutati affinché la loro separazione dai figli non avvenisse mai.
Per concludere crediamo sia interessante riportare alcune considerazioni di Gardner (1998) relative all’introduzione del concetto di PAS: - La PAS non è la stessa cosa di lavaggio del cervello. Gardner evidenzia l’importanza di non cadere nell’errore di usare l’espressione come sinonimo esclusivo di lavaggio del cervello senza considerare minimamente il contributo personale del bambino alla vittimizzazione del genitore designato come bersaglio. Commettendo questo errore si perde un elemento cardine dell’eziologia della sindrome. “L’espressione PAS si riferisce soltanto alla situazione in cui la programmazione parentale si unisce alla rappresentazione da parte del bambino del disprezzo nei confronti del genitore denigrato. Se avessimo a che fare solo con l’indottrinamento da parte del genitore avrei semplicemente conservato le espressioni lavaggio del cervello e/o programmazione. Poiché la campagna di denigrazione implica la suddetta combinazione, ho ritenuto che fosse giustificata una nuova espressione che abbracciasse entrambi i fattori contributivi”.
- La relazione tra la PAS e la vera e propria violenza e/o abbandono. Sempre in maniera errata a volte l’espressione PAS è utilizzata per far riferimento all’animosità che il bambino può avere nei confronti di un genitore che effettivamente gli ha usato violenza (fisica, sessuale ed emozionale). “L’espressione PAS si può usare solo quando il genitore “bersaglio” non ha evidenziato nessun atteggiamento prossimo al grado di comportamento alienante che potrebbe giustificare la campagna di denigrazione messa in atto dal bambino. Piuttosto, in casi tipici, la maggioranza degli esaminatori giudicherebbe il comportamento del genitore preso di mira normale e affettuoso o, nel peggiore dei casi, lievemente carente nella capacità genitoriale. E’ l’esagerazione di difetti e manchevolezze di scarsa importanza che è il marchio della PAS. Quando esiste vera e propria violenza, allora l’alienazione di risposta da parte del bambino e’ giustificata e non e’ applicabile la diagnosi di PAS”.
- La PAS come forma di violenza sui bambini. È necessario considerare che un genitore che inculchi la PAS in un bambino commette una forma di violenza che Gardner definisce emozionale in quanto “questa programmazione può produrre nel bambino non solo una alienazione permanente da un genitore affettuoso, ma anche turbe psichiatriche”. Il genitore alienante spingendo il bambino in una continua situazione di denigrazione e rifiuto dell’altro genitore determina la rottura di un legame psicologico che, nonostante la separazione o il divorzio dei genitori, rimane di grande importanza. Gardner sottolinea la necessità che questo atteggiamento sia considerato un grave deficit della capacità parentale, una forma di violenza emozionale, e che ad esso sia data seria considerazione quando viene valutata la decisione sulla custodia.
- La PAS non esiste perché non è nel DSM – IV. Molti ritengono che la PAS non esista come entità psicodiagnostica dal momento che non è contemplata nel DSM – IV, ma che rappresenti invece solo la “Teoria di Gardner”. Perché questa controversia? Quanto all’esistenza o meno della PAS, di solito non troviamo controversie del genere a proposito della maggioranza di altre entità in psichiatria. Gli operatori possono avere opinioni diverse sulla eziologia e la cura di un particolare disturbo psichiatrico, ma c’e’ di solito un certo consenso sulla sua esistenza. Dovrebbe esser il caso di un disturbo relativamente “puro” come la PAS, un disturbo che è facilmente diagnosticabile a causa della somiglianza dei sintomi nei bambini quando si mettono a confronto due famiglie diverse (Colliva 2005). Gardner ritiene che “la PAS e’ un disturbo relativamente distinto ed e’ più facilmente diagnosticato di molti altri disturbi del DSM-IV”
- La sindrome di alienazione parentale non è una sindrome. Un’ulteriore critica mossa alla PAS, specialmente in Tribunale nel contesto di cause per l’affidamento dei figli, è che essa non sia una sindrome. E’ un argomento spesso sostenuto da coloro che sostengono che la PAS non esiste. Gardner sottolinea come “la PAS è un disturbo molto specifico. Una sindrome è, per definizione medica, un gruppo di sintomi che si presentano insieme e che caratterizzano un disturbo specifico. I sintomi, per quanto apparentemente disparati, possono essere raggruppati insieme per una eziologia comune o una causa basilare sottostante. Inoltre c’è compattezza riguardo a questo gruppo in quanto la maggioranza, se non tutti i sintomi, appaiono insieme. [….] La sindrome è più spesso “pura” perché la maggior parte dei sintomi, se non tutti, prevedibilmente si manifestano. [….] Allo stesso modo la PAS è caratterizzata da un gruppo di sintomi che di solito appaiono insieme nel bambino, specialmente nei casi di media e grave entità. Questi includono
- Una campagna di denigrazione.
- Razionalizzazioni deboli, assurde o futili per spiegare la denigrazione.
- Mancanza di ambivalenza.
- Il fenomeno del “pensatore indipendente”
- Sostegno al genitore alienante nel conflitto parentale
- Assenza di senso di colpa riguardo alla crudeltà verso il genitore alienato e alla sua utilizzazione nel conflitto legale.
- La presenza di sceneggiature “prese a prestito”
- Allargamento dell’animosità verso gli amici e/o la famiglia estesa del genitore alienato.
Generalmente i bambini che soffrono della PAS manifestano la maggior parte di questi sintomi o anche tutti. Ciò accade, in modo quasi uniforme, nei casi di media e grave entità. Tuttavia nei casi lievi è possibile che non tutti gli otto sintomi siano evidenti. Quando i casi lievi si aggravano è altamente probabile che la maggior parte dei sintomi o tutti si manifestino. Questa compattezza ha come conseguenza che tutti i bambini che soffrono di PAS si rassomiglino. E’ a causa di queste considerazioni che la PAS è una diagnosi relativamente “pura” che può facilmente essere fatta da coloro che non abbiano qualche motivo per non voler vedere quello che è proprio davanti a loro. Come per altre sindromi, c’è una causa alla base: una programmazione da parte di un genitore alienante con contributi da parte del bambino programmato. E’ per questo motivo che la PAS è davvero una sindrome, ed è una sindrome secondo la migliore definizione medica del termine”. - Chi diagnostica la PAS è sessista. Alla base della controversia sull’esistenza della PAS sottostà anche un altro motivo collegato al fatto che nella stragrande maggioranza delle famiglie è la madre il programmatore più probabile e il padre la vittima della campagna di denigrazione. L’avere affermato che è molto più probabile che sino le donne piuttosto che gli uomini a provocare la PAS, ha esposto Gardner a critiche di essere un sessista, sebbene la sua posizione fondamentale è sempre stata nel dare un’indicazione a favore della custodia primaria è che i bambini siano di preferenza assegnati al genitore con cui hanno il legame psicologico più forte e più sano. Poiché la madre è stata spessissimo la custode primaria e poiché è disponibile nei confronti dei figli più spesso del è molto spesso designata dai tribunali come custode primario preferibile.
- La sindrome di alienazione parentale e le accuse di violenza sessuale. “Una falsa accusa di violenza sessuale è talvolta considerata un derivato o effetto della PAS. Un’ accusa di questo genere può servire come arma estremamente efficace nelle cause per l’affidamento. Ovviamente la presenza di tali false accuse non preclude l’esistenza di autentica violenza sessuale, anche nel contesto della PAS” (Gardner, 1998). Molto spesso si incorre nell’usare la PAS come sinonimo di violenza sessuale….questa è una percezione erronea della PAS. Nella maggior parte dei casi in cui è presente la PAS, non viene mossa alcuna accusa di violenza sessuale. “In alcuni casi, comunque, specialmente dopo che alcune manovre di esclusione sono fallite, emerge l’accusa di abuso sessuale. L’accusa di violenza sessuale, dunque, è spesso una conseguenza o derivato della PAS ma certamente non è un sinonimo. Inoltre vi sono casi di divorzio in cui l’accusa di violenza sessuale può presentarsi senza una preesistente PAS. In tali circostanze, naturalmente, si deve prendere in seria considerazione la possibilità che vi sia stata violenza sessuale, specialmente se l’accusa è precedente alla separazione coniugale”
- La sindrome di alienazione parentale e “l’alienazione parentale”. Vi è chi usa l’espressione “alienazione parentale” invece di “sindrome da alienazione parentale” descrivendo però fondamentalmente la stessa entità clinica. Gardner (1998) ritiene che “purtroppo la sostituzione dell’espressione “alienazione parentale” al posto di “sindrome da alienazione parentale” può causare confusione. Alienazione parentale è un’espressione più generica, mentre la “sindrome da alienazione parentale” è una sottospecie molto specifica di “alienazione parentale”. L’alienazione parentale ha molte cause, per esempio l’essere trascurati da un genitore, violenza (fisica, emozionale e sessuale), abbandono, e altri comportamenti alienanti dei genitori. Tutti questi comportamenti da parte di un genitore possono causare alienazione nei figli. La sindrome da alienazione parentale è una sottocategoria specifica di alienazione parentale che è causata dall’associazione della programmazione parentale e dai contributi del figlio, e si osserva quasi esclusivamente nel contesto di controversie legali sull’affidamento. È questa particolare associazione che permette la denominazione di “sindrome da alienazione parentale”.
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