NOTA:
Le informazioni pubblicate in questo e negli altri articoli non sostituiscono in alcun modo i consigli, il parere, la visita, la prescrizione del medico o dello psicoterapeuta
LA DEPRESSIONE
Secondo i dati epidemiologici attualmente in nostro possesso, la DEPRESSIONE è il disturbo psicologico maggiormente diffuso nel mondo; è inoltre la prima causa di disfunzionalità nei soggetti di età tra 14 e 44 anni.
Uno studio di OMS prevede poi come nel 2020 avremo la depressione al secondo posto tra le cause di disabilità.
Maggiormente colpiti da questo disturbo risultano le donne, in un rapporto di 2 a 1 rispetto agli uomini – compare nel 25% delle donne e nel 12% degli uomini dopo l’età puberale, il che sembra essere dovuto al fatto che le donne sono più autocritiche, educate a dipendenti, e coltivano più frequentemente sentimenti di tristezza.
Il tasso di prevalenza di questo disturbo tende a salire con l’età, così che mentre per l’età prescolare si manifesta attorno allo 0.3%, in età scolare e adolescenziale abbiamo 2-3% e 6-8% rispettivamente.
Secondo lo studio ESEMeD (European Study of the Epidemiology of Mental Disorders) in Italia, la prevalenza della depressione maggiore e della distimia nell’arco della vita è dell’11,2% (14,9% nelle donne e 7,2% negli uomini). (fonte: http://www.salute.gov.it/portale/salute/p1_5.jsp?id=164&area=Disturbi_psichici)
La depressione presenta una continuità nell’arco della vita: l’80% dei bambini che soffrono di questo disturbo tendono a presentarlo anche in età adulta. Occorre anche tener conto che la depressione in età precoce rappresenta anche un fattore di rischio per lo sviluppo di patologie quali disturbo bipolare e l’abuso di sostanze.
La depressione è nota fin dall’antichità, con il nome di malinconia, descritta da vari autori, come qualche cosa di essenzialmente somatico, derivante da una base temperamentale. Secondo gli antichi, tale temperamento -sotto l’influsso di vari fattori- dava luogo a tutti i fenomeni della melanconia, fisici e psichici.
Negli anni si sono poi susseguite diverse teorie sull’origine della depressione: gli scienziati di allora erano sostanzialmente divisi in due correnti del pensiero che attribuivano l’origine della depressione o a cause biologiche o psicologiche. Nel tempo si va accentuando l’aspetto affettivo, spirituale della melanconia: intorno alla prima metà del Novecento si propongono due filoni di trattamento “moderni” per la depressione, quello psicologico (psicoanalisi) e quello somatico (elettroshock, psicofarmaci).
Oggi sulla base dei dati disponibili è considerato che questo disturbo trae origine dalla combinazione di fattori genetici, psicologici e ambientali.
La depressione appare di non facile definizione in quanto legata al concetto di umore, inteso come dimensione complessa della vita psichica dell’uomo, nella quale confluiscono aspetti emozionali, affettivo-sentimentali, cognitivi, temporali, motivazionali e motori che, se così si può dire, “colorano di sé” tutta la vita dell’individuo, costruendo una griglia percettiva e significativa con cui si dà significato alla realtà.
La depressione prevede una serie di segni e sintomi, psichici e somatici, che possono unirsi in diverse presentazioni cliniche. Questo disturbo colpisce la capacità della persona di pensare in modo chiaro e lucido, provoca una terribile sensazione di sofferenza e la sensazione di non poterne uscire fuori. La persona vive in una costante condizione di malumore, incapacità di provare piacere, continui pensieri automatici negativi su sé stesso e sul proprio futuro, e ne viene compromesso il funzionamento nella vita sociale e lavorativa con tutta una serie di sintomi quali, appunto, umore depresso e tristezza durante la maggior parte del giorno, irritabilità, pianto, mancanza di speranza, difficoltà di concentrazione e mantenimento dell’attenzione, senso di fatica e incapacità di impegnarsi nelle attività quotidiane, problemi con il sonno e alimentazione, autocritica, autosvalutazione e la sensazione di essere un fallito.
Dolore e tristezza presenti nella depressione si distinguono nella loro pervasività, nel colpire psiche e soma allo stesso modo, nella loro fissità e non sono modificabili dalle situazioni esterne, e nell’intensità che unisce i vissuti psichici e somatici in un unico blocco.
A tutti può capitare di sentirsi qualche volta un pò depressi, o avere delle fluttuazioni dell’umore, tuttavia questo non vuol dire che c’è bisogno di un trattamento. Bisogna però aggiungere che per diagnosticare la depressione non devono necessariamente manifestarsi tutti i sintomi, così come anche l’intensità di questi può essere di vario grado.
Questo spiega perché la diagnosi di depressione deve essere fatta da un medico.
La necessità di un intervento clinico sorge quando i sintomi depressivi sono molto intensi e non giustificati da eventi come una separazione o un lutto e durano da più di sei mesi, provocando una grande sofferenza e compromettendo il funzionamento della persona.
Nell’insorgenza della depressione non c’è un’unica causa: vari sono i fattori alla base di questo disturbo. Quelli genetici, ad esempio, possono favorire lo sviluppo del quadro patologico, combinandosi però con i fattori ambientali (educazione ricevuta, eventi della vita, sia all’interno della famiglia che al di fuori di essa, relazioni con l’ambiente sociale) e psicologici (come concetto di sé e la “resilienza”, ovvero la capacità della persona di far fronte agli eventi stressanti).
La classificazione dei disturbi depressivi include -secondo il DSM V- diversi tipi di situazioni patologiche:
– il disturbo depressivo maggiore;
– l’episodio singolo o ricorrente (con diverse manifestazioni);
– il disturbo di disregolazione dirompente dell’umore;
– il disturbo disforico premestruale;
– il disturbo depressivo indotto da sostanze/farmaci;
– il disturbo depressivo dovuto a un’altra condizione medica;
– il disturbo depressivo persistente;
– altro disturbo depressivo specificato;
– il disturbo depressivo non specificato
La caratteristica comune di tutti i disturbi depressivi è la presenza dell’umore depresso o irritabile associato a dei cambimenti somatici o cognitivi che compromettono notevolmente il funzionamento dell’individuo.
Descritti sinteticamente, perché ogni percorso psicoterapico e psicofarmacoterapico hanno i propri specifici obiettivi, legati a quella persona e a quella situazione, gli obiettivi principali della terapia dei disturbi depressivi sono:
– la risposta al trattamento;
– la remissione della sintomatologia;
– la ripresa funzionale del soggetto;
– la riduzione del rischio di ricadute;
– il miglioramento della qualità della vita.
È chiaro però che queste voci, come la stragrande maggioranza delle voci che in psichiatria e in psicoterapia descrivono di fatto dei comportamenti o delle situazioni (cosa è, ad esempio, la “ripresa funzionale del soggetto”, se non l’insieme dei suoi comportamenti), deve essere in realtà adattata al singolo caso specifico. Tanto per fare un esempio, la ripresa funzionale di un ragazzo di trenta anni non è ovviamente assimilabile a quella di una donna di settanta. Sulla definizione di tale concetto, peseranno allora nel singolo caso specifico tutta una serie di variabili relativi al caso in questione: età, situazione ambientale, condizioni famigliari ecc.
Occorre dire che la depressione non è fonte di disagio solo per chi ne è affetto, ma anche per i suoi familiari: si calcola che per ogni malato, siano in realtà coinvolti almeno due-tre parenti.
Il numero di individui coinvolti indirettamente dalla depressione è dunque, probabilmente, di 4-5 milioni.
La depressione, accanto al coinvolgimento di più persone per lo stesso malato, implica anche un costo sociale, considerando cioè le ore di lavoro che ogni anno si perdono a causa del suddetto disturbo. In Italia tale costo assomma a circa 4 miliardi di euro l’anno.
Si calcola che i soggetti più a rischio di contrarre sindromi depressive siano gli anziani over 65
Secondo le statistiche, una persona che ha sofferto di un episodio depressivo ha circa il 50% di probabilità di incorrere in un altro nella sua vita; l’altra metà, una volta guarita, starà probabilmente bene per sempre.
La questione si complica nel caso di chi ha due episodi depressivi: in questo caso, la probabilità di averne ancora sale al 75%.
Peggio ancora per chi ha avuto tre episodi depressivi: la probabilità di averne ancora sale al 90%. L’ulteriore ripetersi di episodi depressivi implica la sicurezza di averne altri.
Secondo alcune statistiche, la possibilità di ricadute ha una correlazione con gli andamenti stagionali: le ricadute sarebbero infatti più frequenti in marzo e aprile e ad ottobre-novembre.
Nella maggior parte dei casi, il disturbo depressivo recedem se trattato con terapia adeguata, nel giro di 4- 6 settimane.
Rischio di suicidio
In Italia vi sono ogni anno circa 4 mila vittime di suicidio. Il dato ha subito un incremento di circa il 12% negli anni della crisi: ovviamente, l’aumento si è registrato fra le persone in età lavorativa.
Vi sono alcune categorie a rischio: quella over 65 anni, (specie se vedovi o se persone socialmente isolate). Vi è però un preoccupante aumento tra i giovani della fascia tra i 15 e i 24 anni.
Secondo alcune statistiche, il 15% degli affetti da depressione grave si suicida.
Un 55% circa di soggetti affetti da depressione mette però in atto un qualche tentativo suicidario. Secondo le statistiche, sono più numerose le vittime di suicidio che non quelle di incidenti stradali o di omicidi.
La terapia dei disturbi depressivi va impostata considerando come oggi siano disponibili diverse possibilità di trattamento, che vanno dalla terapia farmacologica alla psicoterapia, la quale a sua volta dispone di diversi approcci: la terapia cognitiva, quella comportamentale, quella interpersonale, la psicoterapia strategica, quella analitica, ecc.
Va ricordato che la prescrizione dei farmaci può essere effettuata solo da un medico, meglio se psichiatra.
Esistono diverse linee guida per il trattamento della depressione, alcune di questi prevedono una combinazione farmacoterapia-psicoterapia per le forme depressive più severe. Nei casi di forma del disturbo particolarmente grave bisogna ricorrere a più trattamenti contemporaneamente e può essere necessario un ricovero ospedaliero.
Si calcola che in Italia solo il 29% dei soggetti affetti da depressione maggiore ricorre a un trattamento nello stesso anno in cui insorge (fonte: http://www.salute.gov.it/portale/salute/p1_5.jsp?id=164&area=Disturbi_psichici).
La letteratura scientifica riporta però che solo il 30% di pazienti trattati con antidepressivi non risponde ad una prima terapia, la maggior parte risponde però ad un secondo antidepressivo (o ad una associazione di antidepressivi). Il 3-4% dei pazienti, invece, non risponde ad alcun trattamento farmacologico e la loro depressione viene così definita refrattaria.
Le statistiche relative a quale possa essere la “migliore” psicoterapia per la depressione indicano (salvo quanto affermano alcune voci discordanti) che i vari metodi si equivalgano.
Alcuni autori sostengono la miglior utilità delle terapie di tipo cognitivista, altri ancora degli interventi di tipo cosiddetto “strategico”.
Molti psicoterapeuti sostengono invece che quello che conta non è il sistema, ma la singola persona del terapeuta, e dunque la diversa relazione con quel singolo paziente.
Questo significa che pazienti che non hanno avuto giovamento con un determinato tipo di terapeuta possono averne di notevoli con un altro, con il quale stabiliscono un rapporto migliore.
È dunque evidente che il rapporto fiduciario tra terapeuta e paziente è uno dei dati ppè importanti di cui tener conto.
A questo bisogna però aggiungere un dato: molti pazienti “resistenti” alle cure tendono a far fallire le loro terapie (anche quelle farmacologiche) dichiarando di non riuscire ad avere fiducia verso “quel” medico o quel psicoterapeuta. Nel loro curriculum di pazienti, però, vi sono molti medici e psicoterapeuti di cui non hanno avuto “fiducia”. Il rischio è che questo tipo di paziente non voglia in realtà affrontare la propria depressione.
Chi soffre invece di depressione deve sapere che ha ottime probabilità di guarire se affronta con fiducia e costruttività la propria malattia.
Dr. G. GIORDANO.
NOTA:
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